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Business Retail Tour e fiera del Franchising di Dubai

Vi piacerebbe sviluppare il vostro business in un mercato in crescita?

Se pensate che il vostro Franchising  sia adatto al mercato degli Emirati Arabi Uniti e/o quello del Medio Oriente in generale, la prima esplorazione da compiere è proprio nella città più in fermento del mondo: Dubai.

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Se stavate pensando di andarrci per prendere i primi contatti con il mercato locale, vi sarete sicuramente chiesti:

– Come faccio ad ottimizzare la mia permanenza e di conseguenza i miei costi?

Come faccio ad organizzare le visite e gli incontri dall’Italia?

– Chi può darmi strumenti ed informazioni per prendere la decisione giusta?

Riuscirò a conoscere gli investitori locali?

L’importante occasione è in concomitanza con la 5° Franchise UAE EXPO, la Fiera Internazionale del Franchising e del Retail, di cui DESITA è promotore esclusivo per l’Italia, che si svolgerà a Dubai il 25 e 26 settembre prossimi.

Recenti studi hanno dimostrato che il 97% dei fallimenti è derivato da una mancanza di attenzione verso i mutamenti del mercato. Questo significa che lavorare in un determinato settore senza conoscerne e anticiparne in maniera approfondita le dinamiche evolutive espone il business a rischi sostanziali, fino a minacciarne la profittabilità e la sopravvivenza. Chiaramente questi rischi risultano accentuati in un periodo di crisi. Chi desidera superare questo brutto periodo deve innanzi tutto lavorare su un elemento di discontinuità culturale, modificare il proprio approccio al mercato.

DESITA, società di consulenza e progettazione di spazi Retail con forte know-how nel settore della ristorazione e nello sviluppo Franchising, presente a Dubai da oltre 10 anni, in collaborazione con Milano Retail Tour, l’unico format rivolto alle aziende per esplorare le tendenze emergenti nei luoghi del Retail milanese ed internazionale, vi propone un viaggio alla scoperta del cambiamento in atto nel mondo del Retail di Dubai, nonché la possibilità di incontrare selezionati investitori arabi, tramite meeting B2B dedicati ed esclusivi.

Per scaricare la presentazione: Business Retail Tour

Per maggiori informazioni, scrivere a info@desita.it

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La sostenibilità in pratica (nel Franchising)

Intervista pubblicata su AZ Franchising di maggio 2013.

Ringrazio i colleghi di AZ Franchising, Media partner di Iref Italia, per la gentile e sempre professionale collaborazione.

la sostenibilità in pratica

Caffè nero bollente

Il mio recente articolo – “espresso : “giornate” = Italia : business” – ha ricevuto una particolare attenzione dagli operatori del settore e canale Ho.Re.Ca.

La condivisione e successiva visibilità dovuta ai social network ha portato l’articolo ad essere letto e commentato off-line da molte persone che, ringrazio pubblicamente, mi hanno scritto. Tutti sono d’accordo con il mio pensiero ed alcuni hanno volutamente illustrato il loro punto di vista.

Daniele, che ama definirsi “l’ultimo dei romantici” in riferimento al suo lavoro da Barista (la maiuscola non è un errore ma la volontà di dare risalto ad una professione difficile e dignitosa), pensa che si stia perdendo il vero senso del “mestiere”. Scrive: “essere un Barista non è solamente una questione di tecnica”. Verissimo, per fare il Barista servono anche anima e corpo, perchè per stare anche 10 ore in piedi dietro ad un bancone a contatto con la clientela più disparata, servono doti e capacità, anche intellettuali, non indifferenti. Poi certo, dipende dal contesto.

Infatti non basta registrarsi ad un evento come la “giornata dell’espresso italiano” per far del proprio bar un locale di qualità.

“Ma dove è finita l’umiltà?” chiede Daniele. “Per operare professionalmente ci vuole umiltà e vocazione, non arroganza e saccenza. Non si diventa Baristi dopo 15 minuti di contest o solamente perchè si sono comprate delle costose coffee stations. Il vero Barista è quello che non spreca, è quello che usa anche il porta filtro da uno. Noi siamo la prima ed in certi giorni anche l’unica faccia amica per molti dei nostri clienti, i quali sono gli unici veri protagonisti del nostro locale”. Ricorda Daniele che negli anni 90, fece il suo primo corso da Barman dal Sig. Cinelli, il classico Barman d’albergo vecchio stile che parlava ben 7 lingue e leggeva 3/4 quotidiani al giorno per avere una visione completa e non di parte di quello che accadeva nel mondo, per poter affrontare qualsiasi tipo di conversazione. Daniele cita il Sig. Cinelli: “Per imparare a fare un cocktail ci vuole poco, per imparare ad essere un Barman ci vuole una vita”.

Verissimo, il mestiere dell’ospitalità si impara strada facendo, con dedizione supportata da continui aggiornamenti e tanta pratica. 

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Alcuni, mi hanno scritto risollevando la questione del “patentino” o comunque di un certificato o come volete chiamarlo, che permetta solo a chi ha seguito almeno un corso ad operare dietro un bancone. Come accade all’estero. Magari ne parleremo prossimamente.

Infine, come richiesto nel mio precedente articolo, vi informo che non ho ancora ricevuto risposta dal Dott. Zecchini, presidente dell’Istituto Nazionale Espresso Italiano a cui ho inviato anche una email di conoscenza dell’articolo. Vi terrò informati.

Vi lascio con l’invito a leggere “Il flop della 1° giornata europea del gelato artigianale. Le considerazioni di una ex” (Brava Alessia!) e ne approfitto per augurare a tutti una felice e serena Pasqua!

espresso : “giornate” = Italia : business

No, non è un’equazione! Comunque la mettiate.

Cosa significa? Presto detto, ma prima una giusta e breve premessa, ovvero: “il prossimo 12 aprile, si “torna” a celebrare l’Espresso Italiano Day, la giornata dedicata al nostro caffè”. Così recita il comunicato stampa pubblicato dall’Ansa che riprende la notizia dell’Istituto Nazionale Espresso Italiano.

Analizziamo assieme la news: la prima cosa che mi salta all’occhio è che si “torna” a festeggiare, quindi vuol dire che si è già festeggiato almeno una volta, ovvero, si è già fatto esperienza. Ma allora perchè si ripetono gli errori? La seconda cosa che noto è la confusione tra lingua italiana ed inglese. Se si vuole festeggiare un prodotto ed una tipicità italiana, perchè questa “giornata” deve diventare “day”? Perchè dedicarla al nostro “caffè”, che non è nostro, infatti non lo coltiviamo ma lo trasformiamo solamente; e perchè quindi chiamarlo caffè, quando si chiama espresso?!?!

d9bd77f9181e907cf4a1947ef829eeceMi domando: se si festeggia l’espresso, bevanda realizzata dal o con il caffè (chi ne sa di più mi corregga pure), perchè si continuano a confondere i due termini? Perchè in Italia, patria dell’espresso, continuiamo a chiamarlo caffè?

Ma avete notato la foto pubblicata dall’Ansa? Nulla da dire a loro, non sono del mestiere, ma se fossi dell’Istituto Nazionale Espresso Italiano o un barista professionista, mi indignerei. Secondo voi quello è un espresso? A me sembra più che alla barista gli si sia addormentato il braccio o forse è colpa del fotografo che ha chiesto tempo per mettere a fuoco? Mah!

Povero espresso!

Torniamo alla non equazione. Cosa vuol dire? Significa che mentre in Italia si perde tempo a far le “giornate” – vedi anche la giornata europea del gelato – all’estero si pensa a fare business.

Traduco: noi creativi italiani, ci perdiamo in chiacchiere e progetti macchinosi senza fine e senza esser capaci di fare rete (che sia Franchising o semplice ATI), mentre all’estero si concretizza molto e subito. Se l’esperienza insegna, ci hanno già sottratto l’identificazione del caffè (vedi Starbucks e grazie a illy per quanto fa), la pizza (vedi Pizza Hut, a breve anche in Italia), la pasta (vedi Vapiano, La Tagliatella, ecc) e probabilmente a breve anche il gelato, visto che le uniche vere “reti” italiane si sviluppano solamente all’estero e chi sta approcciando il settore lo fa più per disperazione (leggi disoccupazione) che per vocazione o vero spirito imprenditoriale.

Una recente ed accesissima discussione su facebook, con amici e colleghi professionisti del settore, proprio su questo tema, mi ha fatto ribollire il sangue verso il pressapochismo italiano nei confronti di noi stessi. Ci si preoccupa delle giornate, di fare un prodotto DOP piuttosto che DOC ma quando c’è da sviluppare un business, esempio un progetto di Franchising, che tutelerebbe a priori molto di più, ci si perde in “giornate” fine a se stesse, cavilli burocratici, organizzativi, di invidia verso gli altri ed in domande fuori luogo come quelle dei torrefattori, che davanti ad un progetto imprenditoriale per lo sviluppo di una rete di caffetterie, ancora si domandano: “ma quanti chili di caffè vendiamo?”. Forse, più che le giornate per diffondere la cultura del caffè o di altri prodotti presso i consumatori finali, bisognerebbe fare più formazione imprenditoriale, soprattutto in ottica di internazionalizzazione.

Vorrei infine chiedere al Dott. Zecchini, presidente dell’Istituto Nazionale Espresso Italiano cosa intende, parlando di espresso, quando afferma che: “la cultura italiana del caffé è basata sulle differenze regionali”. Ma l’espresso non è uno solo, unico ed inimitabile? Le differenze regionali non si riferiscono forse a declinazioni della stessa bevanda che viene miscelata con altre, per lo più alcooliche? Non è forse vero che anche Lavazza ha realizzato delle “ricette regionali” ispirandosi a cinque tipicità italiane? Ovvero 5 declinazioni regionali dell’espresso?! E poi, qual’è il criterio con cui un esercizio pubblico di dovrebbe o potrebbe  registrarsi per aderire a questa iniziativa? Chi controlla la qualità dell’espresso servito?

Adesso basta!

Mi sono veramente stancato … dei politici, del sistema marcio e ritrito, della TV spazzatura, dell’istruzione inesistente, del non-futuro per i nostri figli, della gente che bla-bla-bla e poi non conclude nulla, dei clienti che pretendono la mia professionalità gratis e della spocchiosità di alcune persone. Soprattutto quelle con la bocca sempre piena di morale.

Ora-bastaScusate lo sfogo poco professionale ma, molto umano.

 

Food bloggers

Avete mai letto un blog che parla di cibo? Sicuramente.

Ce ne sono alcuni molto belli, sia nell’estetica – cosa che favorisce e allieta la lettura – sia nel contenuto – cosa estremamente importante – dove spesso e volentieri ci si immerge in racconti che profumano di buono tra indicazioni semi professionali o di pura esperienza.

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Da buon amante del mangiar bene in generale, leggo spesso questi blog, quindi seguo i bloggers anche su twitter. Un mondo che mi affascina e sono sincero, ancora oggi mi meraviglio di come riescano a trasferire la loro passione attraverso uno strumento freddo e distaccato come internet. Bravissimi, c’è da imparare. Applausi.

Non posso dire di averne di preferiti, perchè tutti hanno quel “qualcosa”.

Perchè questo post sui food blogger? Sia perchè, avendo tempo, mi piacerebbe esserlo – forse vorrebbe dire che sono bravissimo a cucinare (sorrido) – sia perchè per lavoro mi trovo spesso a seguirli. Ma il vero motivo è che mi piacerebbe sviluppare un progetto con loro, infatti avrei alcune belle idee da condividere perchè essere un food blogger non è soltanto scrivere ricette, giusto?

Mi piacciono molto quelli che sono riusciti a differenziare, a dare al contesto il proprio stile, carattere e personalità, condendo (mai aggettivo fu più azzeccato) il blog con servizi dedicati, trasformando una passione in un vero business. Ecco alcuni esempi: food confidential; the kitchen times; dissapore; honest cooking; the chef is on the table; amaranto e melograno e naturalmente the fooders ed eco cucina con il suo laboratorio di ricette per una cucina a costo e impatto (quasi) zero. Altri li potrete trovare qui.

Attraverso blog che parlano di cibo, specialmente quelli stranieri, passano anche alcuni trend che legano il cibo ad alcune tendenze di mercato, sia per quanto riguarda i consumi di determinati prodotti alimentari, sia per quanto riguarda specifiche attrezzature.

Ancora nessuno però che si è spinto oltre. Chi di voi, vuole rispondere alla chiamata?

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Non predere il treno del “green”

Articolo pubblicato “in AZ Franchising di gennaio 2013″. Si ringraziano AZ Franchising e il Dott. Mirco Comparini per la collaborazione.

Il Franchising, come modello di business, è spesso associato a grandi marchi di catene multinazionali con prodotti industriali, quindi standardizzati, e con relativa assenza di legame e valorizzazione dei prodotti artigianali.

Ma qualcosa sta cambiando anche perché il gradimento del consumatore finale verso i prodotti “green” sta aumentando notevolmente.

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Prendiamo in esame il settore della ristorazione.

Sempre più persone consumano pasti fuori casa (trend in aumento in Italia rispetto all’inversione europea) con la conseguenza che la ristorazione continua a essere un settore produttivo in costante espansione con necessità, da un lato, di promuovere e assicurare la somministrazione di cibi sani e di buona qualità, dall’altro, di un sempre maggiore utilizzo di prodotti d’origine controllata, certificati e, dove possibile, di prodotti biologici al fine di non impattare sull’ambiente e sulla salute delle persone. In Italia, come soprattutto all’estero, stanno nascendo progetti di caffetterie e bistrot eco-friendly. Formule retail diverse dalle classiche, dove l’esperienza percepita dal cliente è sicuramente più positiva e meno “commerciale”. Si tratta di una nuova sfida per la ristorazione: lo sviluppo sostenibile in una gestione di eco-efficienza al motto di “Dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei”. Prendere consapevolezza del fatto che esiste una forte correlazione tra cibo, ambiente e salute può portarci a riprogettare il modello gestionale della ristorazione in ottica “green”. Un fenomeno che vede l’affermarsi di un consumatore più consapevole e più attento alla qualità non solo degli alimenti. Tale fattore è da una parte strettamente legato all’investimento sul capitale umano e sul livello di istruzione, dall’altra al verificarsi negli ultimi venti anni, non solo nel nostro Paese, di una serie di scandali alimentari (“vino al metanolo”, BSE meglio cono-sciuta come “mucca pazza”, “pollo alla diossina”, ecc.) che hanno avuto come conseguenza una maggiore attenzione del consumatore ai rischi alimentari, lo hanno reso più attento alle diverse forme di informazione e di etichettatura degli alimenti. Il tutto combinato a una sempre più crescente “coscienza ecologica”.

1Già attiva nel campo della zootecnia, la normativa prevista dal Regolamento CE n.178/2002 per la tracciabilità dei prodotti sarà nei prossimi anni un punto importante anche per la ristorazione (movimentazione, stoccaggio e trasformazione degli alimenti nel punto vendita, ecc…). Gestire la tracciabilità completa, può essere difficoltoso anche se oggi nuovi software permettono un’estrema automazione per essere in regola con il regolamento. È possibile così acquisire il carico di materie prime manualmente o grazie ai barcode, assegnare un codice di lotto, gestire il magazzino e scaricarlo in automatico, seguendo le produzioni della giornata. Un buon sistema di tracciabilità, oltre che ad ottemperare alle normative comunitarie, permette un controllo totale della propria attività produttiva azzerando quasi completamente gli errori dovuti a merce non utilizzata o acquisti sovra-dimensionati.

Anche le catene e le reti di franchising del settore food sono ben consapevoli che non possono e non potranno esimersi da tali passaggi e da tempo molti marchi a notorietà internazionale si sono attivati in tal senso, ognuno con iniziative diverse. Infatti, proprio per il loro sviluppo e la loro crescita, in termini di tempo e spazio, le catene possono risultare alquanto “impattanti” su tutto il settore green. Tralasciando di descrivere nel dettaglio in che cosa consiste un locale ecofriendly e di analizzare tutte le “buone pratiche” che deve rispettare per essere definito tale, diciamo soltanto che gli impatti ambientali nel settore della ristorazione sono molteplici: dai consumi energetici a quelli idrici, dal trasporto degli alimenti, al consumo dei prodotti, siano essi per la pulizia, per la
promozione, ma anche per la stessa somministrazione pasti. Inoltre, non è possibile non citare, infine, la produzione
dei rifiuti. In sintesi, questi i punti principali affrontati da chi si è già messo all’opera: riduzione delle emissioni
di CO2, approvvigionamenti da forniture e filiere sostenibili, riduzione dei consumi, riduzione e corretta gestione dei rifiuti, utilizzo di attrezzature ecocompatibili e certificate, utilizzo di arredi realizzati con materiali e prodotti certificati.

3Ma che cosa significa tutto questo quando si è al punto zero, ovvero quando si inizia a pensare o, meglio, a progettare un locale di ristorazione? L’approccio è completamente diverso, così come è diverso il know how specifico mentre l’esperienza può aiutare, soprattutto per sfatare il falso mito che sostenibile è sinonimo di costoso.

Inoltre, la direttiva sull’eco-design nota come EuP (Energy using products) ha istituito un quadro per la progettazione ecocompatibile di un negozio, come il recupero, il ciclo di vita del prodotto, il loro futuro smaltimento o recupero. Le varie iniziative delle catene non sono un fenomeno da sottovalutare, in quanto, così facendo, oltre a rinnovare il proprio know how rispetto alla formula originale, potranno rappresentare un esempio per il settore, cambiandone in meglio l’atteggiamento, le procedure, i servizi e naturalmente i prodotti a vantaggio della collettività. Infine, ma non meno importante, lo sviluppo di una catena in franchising di un concept basato sui principi della sostenibilità aiuterà la stessa a diffondersi maggiormente e più rapidamente.

La fine del mondo! – The end of the world!

Norman Cescut

Visto? La fine del mondo non c’è stata. Siete più sereni? Questo fine d’anno in compenso è stato pieno di sorprese, bellissime emozioni. Non sono riuscito a scrivere molto perchè impegnatissimo con il lavoro e me ne dispiace. Impegnatissimo anche perchè ho fatto delle docenze: a degli albergatori prima e a dei futuri operatori di punto vendita poi. E’ stato entusiasmente e mi sono divertito molto. Sotto l’albero ho già trovato un invito come relatore al BIFEX di Beirut e al TEDxBocconiU di Milano. Ancora sono incredulo e sto aspettando dettagli per poter approfondire ed iniziare a prepararmi. Auguro a tutti un sereno Natale, ci vediamo nell’anno nuovo!

See? The end of the world didn’t come. Are you more calm? This end of the year on the other hand was full of surprises, beautiful emotions. I could not write much because busy with work and I’m very sorry about that. Busy because I also did some lecturing: first to hoteliers and to future store operators then. I enjoyed it very much. Under the Christmas tree I’ve already found an invitation as speaker at BIFEX in Beirut and at TEDxBocconiU in Milan. I am still in disbelief and I’m waiting for details to be able to deepen and begin to get ready. I wish you all a Merry Christmas and happy new year!

Differenze tra partenariato e franchising

Nel precedente articolo, abbiamo fatto presente che, tra i vari elementi che caratterizzano il partenariato, alcuni possono essere considerati comuni ad altre forme di commercio a rete, in primis il franchising, ma alcuni sono effettivamente tipici e caratteristici.

La gestione partecipativa”. È noto che il franchising, per come ci giunge dalla definizione legale, prevede che il franchisor sia il detentore del proprio know-how ed è proprio sul passaggio del “saper fare” all’affiliato che si fonda il successo di chi aderisce alla rete e della rete stessa, tanto che la normativa italiana lo definisce “indispensabile” per la formula. Anche nel partenariato, come da definizione, esiste un partner principale che “dietro compensazione finanziaria diretta o indiretta accorda al partner indipendente il diritto di utilizzare i suoi elementi di proprietà intellettuale, la sua esperienza e le sue conoscenze”, ma si prevede anche esplicitamente che “i partner collaborino allo scopo di uno sviluppo reciproco ed equilibrato”, quindi il focus è meno incentrato sul “diritto di utilizzare i suoi elementi di proprietà intellettuale, la sua esperienza e le sue conoscenze”.

Decisioni assunte democraticamente”. È la conseguenza della gestione partecipativa: ogni partner indipendente deve essere coinvolto concretamente alle decisioni della rete. Il presupposto è che il partner indipendente sia maggiormente responsabilizzato. La condizione essenziale per ottenere tale risultato è il “consiglio di consultazione”.
Ovvero, un organo che deve rappresentare la rete nel suo insieme e in forma unica. I membri di tale organismo saranno tutti gli aderenti alla rete e un rappresentante della stessa. La costituzione di tale organismo può essere scelta utilizzando strumenti messi a disposizione dalla legislazione o potranno essere più informali, ma, comunque, ufficiali e con validità delle decisioni assunte. Nel partenariato il ruolo del consiglio di consultazione è fondamentale ed il suo campo di azione è molto vasto.

Si ringraziano nuovamente per la collaborazione, il Dott. Mirco Comparini e Iref Italia.

DESITA ed ECOFFEE sconfiggono la buracrazia

L’Italia è un paese per vecchi. Spesso si ha l’impressione che le parole innovazione e cambiamento siano state eliminate dal dizionario. Tra le tante armi di cui si servono per stroncare sul nascere un processo di trasformazione, la più indisponente è sicuramente la burocrazia, un meccanismo complicatissimo che circuisce, illude e alla fine nega, bruciando idee, progetti, speranze. Ma per fortuna, non sempre.

Nel 2011, durante una campagna marketing di reverse graffiti realizzata dagli amici di GreenGraffiti Italia,  abbiamo ricevuto una serie di multe dal Comune di Rimini per pubblicità non autorizzata e imbrattamento. Prima della campagna si era più volte cercato di contattare i responsabili dei settori Pubblicità e Occupazione Suolo Pubblico del Comune, per capire come pagare eventuali imposte pubblicitarie. La risposta ufficiale del Comune si può riassumere in tre frasi: non è in nessun regolamento, non è pubblicità, non c’è nessuna occupazione del suolo pubblico.
Una risposta non esaustiva ma forti del fatto che un mese prima l’Assessore all’Urbanistica aveva dato il suo nulla osta per un’altra campagna simile, si è giustamente pensato che non ci sarebbero stati problemi.

Abbiamo chiesto consigli a persone vicine all’amministrazione pubblica e ci siamo rivolti ad un avvocato, per rispondere alle accuse: la questione è andata avanti oltre un anno (la sentenza definitiva è stata depositata a settembre 2012) ma alla fine per ambo i procedimenti è stata dichiarata la mancanza di illecito.

Grazie a questo processo, che probabilmente doveva essere un passaggio burocratico obbligato (per l’amministazione), gli amici di GreenGraffiti hanno ottenuto la possibilità di lavorare in totale trasparenza non soltanto sul Comune di Rimini, ma anche su alcuni comuni vicini, come Santarcangelo di Romagna, Cesena e Riccione.

Precisione nell’esporre i nostri dirirtti e tanta pazienza, ci hanno permesso di fare una cosa che raramente riesce: cambiare le regole del gioco.