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Il partenariato, questo sconosciuto (in Italia)

Possiamo sintetizzare sostenendo che con il partenariato si modificano i sistemi di comunicazione, collaborazione e gestione della rete con l’apporto di tutti i componenti della rete stessa. Rimandiamo al precedente articolo “Franchising vs Paternariato” per la definizione esatta.

Il paternariato è una tecnica di sviluppo e di gestione, ovvero, come tutte le forme di distribuzione, richiede una presenza reticolare sul territorio, ma con modalità di sviluppo e di gestione che portino ad una relazione equilibrata tra tutti i partecipanti.
È uno scambio di conoscenze e di esperienze, infatti, in una franchise, il franchisor (dietro corrispettivo) offre agli affiliati un know-how uniforme e soggetto a segretezza che egli si impegna ad applicare alla lettera: si tratta di una comunicazione di tipo verticale, anche se è opportuno ricordare che il bravo franchisor è colui che sa riconoscere e fare tesoro anche degli elementi di miglioramento e aggiornamento al “saper fare” della rete.

Il partenariato si fonda sullo scambio di conoscenze e di esperienze dove ogni partner indipendente si arricchisce e diventa parte stessa ed essenziale di know-how espressamente e palesemente noto e comune a tutti. Si pone l’accento su una comunicazione incrociata e bidirezionale.

Richiede una formula concettualizzata. Ad un primo impatto, potremmo confondere tale caratteristica con il classico e conosciuto manuale operativo presente nel franchising. La concettualizzazione della formula deve essere intesa come la predisposizione di tutti quegli elementi chiave necessari a supportare l’obiettivo principale dato dallo scambio di esperienze e conoscenze tra i membri della rete.

Conduce ad uno sviluppo reciproco. Riunendo tutti gli elementi presenti nella definizione, si giunge alla situazione ideale nella quale ciascun membro della rete, con le sue esperienze sia negative, sia positive, contribuisce all’arricchimento e alla crescita delle conoscenze degli altri e della formula iniziale, giungendo alla così detta “fertilizzazione incrociata”, cioè il contributo di ogni componente a rendere “fertile” il terreno dello scambio e della crescita.

Nel prossimo articolo analizzeremo le principali differenze con il Franchising.

PS: vi aspetto dal 9 al 12 a Milano al Salone Internazionale del Franchising

Franchising vs Paternariato

Breve introduzione al partenariato, una formula commerciale a rete ancora poco nota in Italia, ma che ha preso piede in diversi paesi europei. Soprattutto in Francia.

Articolo in collaborazione con il Dott. Mirco Comparini e Iref Italia.

Il mondo delle reti commerciali è in continua evoluzione, sia in Italia, sia all’estero, in una costante ricerca di adattamento a formule innovative, efficaci e snelle che consentano uno sviluppo, ma anche una stabilità, nei sempre più difficili e turbolenti mercati.

In altri paesi, tale concetto è stato appreso da tempo e le reti commerciali sono riuscite a creare forme di distribuzione adattate alle esigenze degli operatori professionali desiderosi di confrontare le loro conoscenze e le loro esperienze con altri. Tra queste c’è anche il partenariato, che in Italia ancora pochi conoscono.
Alcuni aspetti del partenariato sono riconducibili e presenti in altre formule, come il franchising, ma questa formula è dotata anche di caratteristiche proprie che in alcuni paesi europei, la Francia prima di tutto, le stanno attribuendo un buon successo.
Questa è la conseguenza di un fondamentale equivoco che, nel tempo, è stato trasferito nel nostro paese parlando della legge francese (Loi Dubin) come “normativa sul franchising” per quella nazione. Al contrario, la Loi Dubin, non si applica solo al franchising, ma riguarda l’insieme delle reti del commercio organizzato.

Senza poter entrare nei dettagli, la legge francese non cita mai, contrariamente alla nostra normativa, il know how.

Infatti, l’elemento più importante che differenzia il partenariato rispetto al franchising è il fatto che prevede la rimozione dell’obbligo di presenza e di trasferimento del know how, che nella legge italiana è invece uno dei requisiti normativi essenziali per poter essere in presenza di rapporto di franchising, ma anche uno dei requisiti normativi più difficilmente definibili del rapporto stesso.

Il paternariato è una tecnica di sviluppo e di gestione che unisce dei partners per un accordo di interesse comune in ragione del quale essi si impegnano a cooperare stabilmente condividendo le loro conoscenze e le loro reciproche esperienze. Il partner principale accorda al partner indipendente, in cambio di una compensazione finanziaria diretta o indiretta, il diritto di utilizzare i suoi elementi di proprietà intellettuale, la sua esperienza e le sue conoscenze, allo scopo di commercializzare i prodotti e/o i servizi della formula che egli ha ideato e precedentemente messo a punto. I partners opereranno in comune durante tutta la durata del contratto, allo scopo di uno sviluppo reciproco ed equilibrato, in uno spirito di partenariato, senza qualsiasi manifestazione gerarchica, pur mantenendo l’identità e la reputazione della rete. (definizione ufficiale a cura di Iref Italia)

Nei prossimi articoli, analizzeremo meglio il paternariato e le maggiori differenze col franchising.

Stai calmo, beviti un caffè! Per favore!

I ritmi della vita odierna si fanno sempre più frenetici, il tempo a disposizione sembra sempre meno. Siamo di corsa.

Il modo di vivere la nostra quotidianità è cambiato, tant’è che un gesto semplice, come quello di bere un caffè, per molti è diventato: “la pausa alla macchinetta”. Ma pensate di essere Luca e Paolo su Camera cafè?

Purtroppo stanno proliferando i locali dediti ai distributori automatici. Nulla in contrario se, posizionati o utilizzati in circostanze “d’emergenza” o in azienda, ma se diventano l’alternativa al bar allora qualcosa non va. Infatti molte persone consumano caffè e derivati dalle macchinette automatiche anche in presenza di bar nelle vicinanze.

Forse sarò un italiano “vecchia maniera”, uno che si emoziona solo a sentire il profumo del caffè appena fatto, uno che cerca di “leggere diversamente” il disegno fatto dal barista sul cappucciono fumante, con tutto il rispetto del “latte art”, uno che se deve incontrare un amico gli da appuntamento al bar e non davanti ad una macchinetta; ma trovo questa tendenza poco affascinante e per nulla rispettosa di una tradizione italiana invidiata nel mondo.

Il mio timore, è che questa tendenza in aumento sia dovuta al fatto che sempre più persone disconoscono il prodotto caffè e quanto ne gravita attorno. I consumatori sono bombardati da offerte più o meno valide e fanno fatica ad aggiornarsi; i “baristi”, sono spesso persone volenterose ma gettate dietro il bancone senza nessun tipo di formazione, con il rischio di passare per cafoni. Ma sapete quanto vi costa la formazione che non fate? Molto di più di quanto scuole professionali, e ce ne sono diverse, potrebbero chiedervi.

Infine, se condividete quanto ho scritto sopra, la prossima volta che andate al bar, ricordatevi di chiedere un caffè, o meglio un espresso, aggiungendo semplicemente: per favore. Vedrete, sarà più buono.

Trend: il Franchising in “multi-unità”

Il Franchising “multi-unità” è, senza dubbio, il trend di maggior crescita nel settore, assieme al “paternariato”, di cui scriverò presto. 

Dalle mie recenti ricerche, ma anche da input di mercato e feedback avuti dai miei stessi clienti e secondo la società di servizi FRANdata, circa il 50 per cento delle imprese di franchising sono attualmente di franchisee con più di una unità operativa. Tend molto americano, ma che si sta sviluppando anche oltre oceano.

Molti degli imprenditori di franchising di oggi stanno cogliendo l’opportunità di investire in accordi di multi-sviluppo, in quanto questi hanno dimostrato di essere un grande successo sia per il franchisor che per il franchisee. Negli ultimi cinque anni, le statistiche sulle entrate hanno dimostrando che i multiproprietari tendono a massimizzare i loro profitti a un tasso superiore di quello dei singoli proprietari.

Leggendo il rapporto della Small Business Administration (SBA), si evince che i proprietari di più unità sono diventati “il gruppo più prosperoso delle piccole imprese.” La relazione prosegue affermando che circa i tre quarti di questi imprenditori si trovano in una fascia di reddito alta e metà di essi possono essere classificati in una fascia di ricchezza elevata.
Infatti, uno dei motivi di questo aumento della redditività è dovuto al fatto che le “multi-unità” sono in genere gestite dagli investitori più esperti soprattutto in fase di massimizzazione dei profitti.

Inoltre, ma è facile dedurlo, il franchisor preferisce supportare un franchisee già avviato che investire in una nuova operazione.

Quali sono i vantaggi della “multi-unità”?
I multiproprietari di Franchising concordano che, avere più di un franchising sotto la propria gestione può risultare un vantaggio finanziario. Un esempio? Il franchisee Gulam Choudhury, che ha comprato il suo primo franchising Dunkin’ Donuts due decenni fa, ora possiede un pacchetto di sei negozi, multi-unità.
Oltre a maggiori profitti, Choudhury ha affermato che grazie alla sua piccola catena ottiene maggiori risparmi anche dal fatto che ha bisogno di utilizzare solo una cucina per tutti i sei negozi.

Inoltre, i multiproprietari di franchising possono gestire al meglio il personale tra i diversi negozi e sono in grado di offrire maggiori opportunità per il loro avanzamento. Infatti, sempre più spesso, le aziende trovando molto più conveniente gestire e supportare un minor numero di affiliati in possesso di un numero maggiore di unità. Ecco perché una grande azienda preferisce gestire, per esempio, 75 proprietari di franchising che operano 300 unità, piuttosto che la gestione di 300 operatori in franchising separati.

A seguito di questo trend, un numero crescente di imprese offrono solo opportunità di franchising per potenziali franchisee disposti ad accordarsi per un pacchetto minimo di sviluppo.

Sempre negli USA, Dunkin’ Donuts è un caso emblematico, gli investitori devono essere in grado di acquistare un accordo di sviluppo per almeno cinque negozi. Questo, secondo Dunkin’ Donuts è il risultato di un piano strategico di espansione per triplicare i punti vendita per un totale di 15.000 negozi negli Stati Uniti entro il 2020.

Qual’è il rovescio della medaglia?
La realtà è che la maggior parte dei franchisee non sono in grado di investire in più di una unità alla volta e, in molti casi, preferiscono già a priori non espandersi. L’acquisto di un pacchetto minimo, contempla non solo una grande quantità di capitale, ma anche il tempo e le risorse per l’esecuzione più unità, quasi contemporaneamente, quindi si rende necessaria una grande capacità di selezione, una grande capacità organizzativa della rete e un forte coinvolgimento nella governance del sistema.

Nonostante quest’ultimo punto e nonostante l’esborso di denaro, tempo e risorse, l’investendo in “multi-unità” di franchising risulta essere un modo efficace per massimizzare il potenziale di profitto, soprattutto se si sta investendo in un ben consolidato marchio di successo.

Voi cosa ne pensate?

Associazione: associarsi e associato

Cito da Wikipedia: L’associazione è un ente costituito da un insieme di persone fisiche o giuridiche (gli associati) legate dal perseguimento di uno scopo comune.

Faccio parte di due Associazioni e condivido la semplice ma esaustiva definizione che Wikipedia mette ad introduzione di un’interessante pagina esplicativa. Link

Perché associarsi? Sembrerebbe una facile risposta: “Perché condivido lo scopo per cui l’associazione è nata e vive e quindi mi associo per apportare il mio contributo”. Facile a dirsi, meno a farsi, soprattutto in Italia e specialmente con gli italiani che davanti al fine comune, mettono prima gli interessi personali. Neanche fosse l’azienda di proprietà, anzi, ribadiamo il concetto: un’associazione non è da scambiarsi con la propria azienda e tanto meno associandosi, si ottengono lavori, favori o cose sul generis. L’associazione va vissuta e supportata.

Ed è qui che l’italiano, a mio avviso, da il peggio di se. Pochi miei colleghi, a differenza di quelli stranieri, vivono l’associazionismo come valore aggiunto alla propria attività. Infatti, come detto, molti “usano” l’associazione per scopi puramente personali, talvolta al limite della decenza, spesso al limite del ridicolo.

Cosa significa essere associato? Per me significa, partecipazione, condivisione e supporto per il raggiungimento dello scopo comune.

Spero, in questo tempo di necessari cambiamenti, che anche situazioni apparentemente più semplici come le associazioni di persone, si possano depurare dai soliti facili costumi di opportunismo e scarsa etica. Soprattutto laddove, persone più esperte almeno secondo la carta d’identità, si fregiano di cose non loro.

Mi auguro di poter facilitare questo cambiamento, con l’auspicio di trovare sempre più persone in linea con il mio pensiero e con necessità di comportamenti etici, responsabili e trasparenti.

L’associazione non è di nessuno in particolare, se non degli associati (tutti) che vi fanno parte!

 

Il tuo gelato in un tweet

Ecco i vincitori proclamati dalla giuria presieduta dal grande poeta Davide Rondoni per il concorso che SIGEP ha indetto, chiedendo agli italiani un ‘cinguettìo’ dedicato al gelato artigianale. 

Walter Rossi, avvocato fiorentino (La gelataia di Montelupo/mesce/ crema antica e granella di pistacchio/sorride/ ti guarda/sussurra:/”questo è amore”), Francesco Astolfi, esperto di marketing riminese (Ti ho baciato mentre mangiavi un gelato. Ora so che l’amore ha il gusto di banana) e Agnese Del Prete, impiegata di Latina (Golosa emozione lievemente accarezza timidamente ognun) si sono rispettivamente classificati ai primi tre posti dell’iniziativa di SIGEP che ha chiesto ai propri followers un pensiero di 140 caratteri sul gelato artigianale a @SigepRimini.

Il salone di Rimini Fiera leader al mondo nel dolciario artigianale (la 34a edizione dal 19 al 23 gennaio 2013), ha messo in palio un week end a Rimini per assistere a SIGEP 2013 e 10 kg di gelato al primo, 5 al secondo e 3 al terzo tweet.

Una segnalazione per la loro simpatia anche ad altri tre tweet giunti al concorso di SIGEP:

Giugno. Girovagando Grondo. Girandomi Guardo Giù: Gelateria! Gustoso Gelato Gusto Gianduia. Gnam. Grandioso. (@RiccardoPerini)
Il mondo è pieno di indecisi. Lo capisci dalla lunga fila che il gelataio ha creato chiedendo: Che gusti vuoi? (@MenuettoIT)

Anch’io avevo partecipato con un tweet da leggere come un fosse jingle “gusto fresco e colorato, son innamorato del gelato; crema frutta o variegato, son innamorato del gelato“. Non male, vero?

Barista, lei è proprio un cafone!

Il 29 agosto scorso mi sono recato all’aeroporto di Bologna, per partire alla volta di Catania e quindi raggiungere Messina. Un importante incontro di lavoro mi stava aspettando.

Visto che il mio volo era previsto subito dopo l’ora di pranzo, mi sono avvicinato al bar Bollicine, quello situato proprio frontalmente alla salita delle scale mobili, zona partenze ovviamente. Dopo aver aspettato il barista che doveva monitorare il passaggio delle turiste e dopo essere riuscito a fare lo scontrino per: panino, bibita e caffè, mi sono spostato al lato della cassa per poter consumare il mio “pasto” in tranquillità.

Ecco l’assurdo manifestarsi improvvisamente: dopo aver provato a masticare il panino, impresa ardua dato la sua consistenza – avete presente il pane scongelato e riproposto probabilmente dopo alcuni giorni? – mi sono rivolto al barista dicendo educatamente: “mi scusi, ma questo pane è immangiabile”. Di tutta risposta il barista mi ha lanciato un sguardo di insufficenza, come se il pane fosse cattivo per colpa mia, e dopo aver allargato le braccia come se fosse passato li per caso, se ne è andato dall’altra parte.

Per il nervoso, pur di non aver a che fare con quel cafone, non ho neanche chiesto il caffè. Naturalmente il panino è finito nel bidone.

Andando verso l’imbarco, mi sono detto: quest’episodio è da condividere ed ho incominciato a scrivere col cellulare su Twitter: “Il barista del Bollicine e’ veramente un cafone!!!” Stavo per inviare, quando la provvidenza mi ha portato davanti un cartello dell’aeroporto che invitava i passeggeri a comunicare attraverso Twitter, questo l’indirizzo: @BLQairport

Letto, aggiunto, fatto!

Al mio arrivo a Catania, mi sono piacevolmente trovato la risposta: “@norman_cescut Ci dispiace per l’accaduto, lo segnaliamo subito affinchè non si ripeta più”. Il tutto visibile nella mia Timeline di Twitter.

I famosi “complain form” presenti all’estero, non hanno mai funzionato in Italia, ma finalmente adesso c’è la possibilità di comunicare in diretta con chi d’interesse.

Ora, non ho la certezza che abbiano preso veri provvedimenti, anzi invito l’aeroporto di Bologna a comunicarmelo, ma certo è che comportamenti del genere non possono e non devono passare inosservati.

Aggiungo solo una cosa: saper fare un caffè o allungare un panino al di là del bancone, non significa essere baristi, professione nobile e altamente qualificata ma non è solo colpa del barista ma anche del gestore che non fornisce la formazione adatta o se lo fa, non monitora l’operato.

Fino a prova contraria, mai più al bar Bollicine!

Verso la sostenibilità: on-line il blog del Progetto ParCO2

Il Progetto ParCO2 nasce da un’idea di SERINT GROUP e DESITA. Sviluppata con l’apporto di L’UMANA DIMORA, è stato condiviso ed approvato da MEETING DI RIMINI, che vi partecipa a supporto nella fase di start-up, con l’intento di intraprendere un percorso verso la sostenibilità, al fine di diminuire gli impatti ambientali prodotti durante l’evento Meeting di Rimini, comunicando l’attenzione dell’organizzazione verso le tematiche ambientali, la responsabilità e la sostenibilità. Realizzare uno spazio permanentemente e polifunzionale che riporti alla realtà del Meeting ed il suo impegno a beneficio del territorio. Generare cultura ed incrementare l’offerta marketing offrendo contemporaneamente ai potenziali sponsor la possibilità di condividere la propria attenzione verso i temi trattati.

Maggiori informazioni su www.progettoparco2.it

Vi ricordo che sarò presente al Meeting di Rimini dal 19 al 25 agosto presso l’Area della Sostenibilità chiamata Meeting Hearth, sia con uno stand DESITA che con lo stand dedicato al Progetto PArCO2.

ECOFFEE produce le magliette per il Meeting di Rimini

Sono contento di annunciarvi che la linea di magliette eco-friendly di ECOFFEE di DESITA, con i suoi     eco-mindful message attached (di cui l’acronimo è riferito ad Emma, mia figlia), è stata scelta come partner da un cliente speciale: il Meeting di Rimini.

In occasione della prossima edizione del Meeting, che si terrà dal 19 al 25 agosto, ed in riferimento all’Area della Sostenibilità, denominata “Meeting Hearth“, abbiamo prodotto le Polo ufficiali per lo staff.

Le Polo, di color bianco, sono di cotone piquet organico al 100%, certificate OE100, realizzate stampando direttamente con inchiostri a base acqua.  I colori ad acqua presentano un’ ottima morbidezza sul tessuto e sono ideali per creare effetti di stampa più tenui e meno appariscenti. Gli inchiostri a base acqua hanno finitura opaca, quasi come se il colore avesse tinto il tessuto a differenza degli inchiostri plastisol che hanno finitura più lucida e superficie più plasticosa, del tutto impermeabile e non fanno traspirare il sudore. Inoltre il plastisol non asciuga in fase di stampa e quindi necessita assolutamente di una sorgente di calore a 150°C per polimerizzare, a differenza degli inchiostri ad acqua che possono asciugare a temperatura ambiente.

Come potete vedere, il logo è stato posto in corrispondenza del cuore, mentre la scritta staff, sulla schiena. Vi Piacciono? 

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Vi ricordo che sarò presente sull’Area Meeting Hearth, con lo stand DESITA, sia come espositore, sia come co-ideatore assieme a Serint, della stessa Area e del “Progetto ParCO2“.