Unox – ovens planet

I recently had the pleasure of visiting Unox.
A visit organized by FCSI Italia, the Italian division of the Foodservice Consultants Society International. I am a professional member of it. 

Unox gave us a welcome that I could never expect due to a great organization. The Company structure is just fantastic, but technology on a human scale. The respect for the employees is quite deep and you can understand this from the words of those who work with enthusiasm and good attitude.

Nothing seems left to chance. It’s like a little Apple and not just because they develop their software internally.

The training carried out was very interesting and I hope to work with them in more detail, because surely there will be a lot to learn.

Their mission is clear, “Contributing to the Quality, to the Competitiveness and to the Simplification of our customers cooking process.” I agree.

I suggest to all operators in the sector to find a way to visit the company and meet the extraordinary people who work there. If you’ll have this opportunity, don’t forget to stop in Padova for a special dinner in one of its extraordinary places.

What about Unox products? Well, they are the second largest producer of ovens for its sector with lots of happy clients. Their stand during exhibitions are always full of people.    I think that’s enough, right?

Salone del gusto

Avrete già letto molto sul Salone del Gusto di Torino, quindi, vi lascio con questa riflessione. Foto scattata in uno stand, tra un assaggio e l’altro.

Siete d’accordo?

Franchising vs Paternariato

Breve introduzione al partenariato, una formula commerciale a rete ancora poco nota in Italia, ma che ha preso piede in diversi paesi europei. Soprattutto in Francia.

Articolo in collaborazione con il Dott. Mirco Comparini e Iref Italia.

Il mondo delle reti commerciali è in continua evoluzione, sia in Italia, sia all’estero, in una costante ricerca di adattamento a formule innovative, efficaci e snelle che consentano uno sviluppo, ma anche una stabilità, nei sempre più difficili e turbolenti mercati.

In altri paesi, tale concetto è stato appreso da tempo e le reti commerciali sono riuscite a creare forme di distribuzione adattate alle esigenze degli operatori professionali desiderosi di confrontare le loro conoscenze e le loro esperienze con altri. Tra queste c’è anche il partenariato, che in Italia ancora pochi conoscono.
Alcuni aspetti del partenariato sono riconducibili e presenti in altre formule, come il franchising, ma questa formula è dotata anche di caratteristiche proprie che in alcuni paesi europei, la Francia prima di tutto, le stanno attribuendo un buon successo.
Questa è la conseguenza di un fondamentale equivoco che, nel tempo, è stato trasferito nel nostro paese parlando della legge francese (Loi Dubin) come “normativa sul franchising” per quella nazione. Al contrario, la Loi Dubin, non si applica solo al franchising, ma riguarda l’insieme delle reti del commercio organizzato.

Senza poter entrare nei dettagli, la legge francese non cita mai, contrariamente alla nostra normativa, il know how.

Infatti, l’elemento più importante che differenzia il partenariato rispetto al franchising è il fatto che prevede la rimozione dell’obbligo di presenza e di trasferimento del know how, che nella legge italiana è invece uno dei requisiti normativi essenziali per poter essere in presenza di rapporto di franchising, ma anche uno dei requisiti normativi più difficilmente definibili del rapporto stesso.

Il paternariato è una tecnica di sviluppo e di gestione che unisce dei partners per un accordo di interesse comune in ragione del quale essi si impegnano a cooperare stabilmente condividendo le loro conoscenze e le loro reciproche esperienze. Il partner principale accorda al partner indipendente, in cambio di una compensazione finanziaria diretta o indiretta, il diritto di utilizzare i suoi elementi di proprietà intellettuale, la sua esperienza e le sue conoscenze, allo scopo di commercializzare i prodotti e/o i servizi della formula che egli ha ideato e precedentemente messo a punto. I partners opereranno in comune durante tutta la durata del contratto, allo scopo di uno sviluppo reciproco ed equilibrato, in uno spirito di partenariato, senza qualsiasi manifestazione gerarchica, pur mantenendo l’identità e la reputazione della rete. (definizione ufficiale a cura di Iref Italia)

Nei prossimi articoli, analizzeremo meglio il paternariato e le maggiori differenze col franchising.

Stai calmo, beviti un caffè! Per favore!

I ritmi della vita odierna si fanno sempre più frenetici, il tempo a disposizione sembra sempre meno. Siamo di corsa.

Il modo di vivere la nostra quotidianità è cambiato, tant’è che un gesto semplice, come quello di bere un caffè, per molti è diventato: “la pausa alla macchinetta”. Ma pensate di essere Luca e Paolo su Camera cafè?

Purtroppo stanno proliferando i locali dediti ai distributori automatici. Nulla in contrario se, posizionati o utilizzati in circostanze “d’emergenza” o in azienda, ma se diventano l’alternativa al bar allora qualcosa non va. Infatti molte persone consumano caffè e derivati dalle macchinette automatiche anche in presenza di bar nelle vicinanze.

Forse sarò un italiano “vecchia maniera”, uno che si emoziona solo a sentire il profumo del caffè appena fatto, uno che cerca di “leggere diversamente” il disegno fatto dal barista sul cappucciono fumante, con tutto il rispetto del “latte art”, uno che se deve incontrare un amico gli da appuntamento al bar e non davanti ad una macchinetta; ma trovo questa tendenza poco affascinante e per nulla rispettosa di una tradizione italiana invidiata nel mondo.

Il mio timore, è che questa tendenza in aumento sia dovuta al fatto che sempre più persone disconoscono il prodotto caffè e quanto ne gravita attorno. I consumatori sono bombardati da offerte più o meno valide e fanno fatica ad aggiornarsi; i “baristi”, sono spesso persone volenterose ma gettate dietro il bancone senza nessun tipo di formazione, con il rischio di passare per cafoni. Ma sapete quanto vi costa la formazione che non fate? Molto di più di quanto scuole professionali, e ce ne sono diverse, potrebbero chiedervi.

Infine, se condividete quanto ho scritto sopra, la prossima volta che andate al bar, ricordatevi di chiedere un caffè, o meglio un espresso, aggiungendo semplicemente: per favore. Vedrete, sarà più buono.

Trend: il Franchising in “multi-unità”

Il Franchising “multi-unità” è, senza dubbio, il trend di maggior crescita nel settore, assieme al “paternariato”, di cui scriverò presto. 

Dalle mie recenti ricerche, ma anche da input di mercato e feedback avuti dai miei stessi clienti e secondo la società di servizi FRANdata, circa il 50 per cento delle imprese di franchising sono attualmente di franchisee con più di una unità operativa. Tend molto americano, ma che si sta sviluppando anche oltre oceano.

Molti degli imprenditori di franchising di oggi stanno cogliendo l’opportunità di investire in accordi di multi-sviluppo, in quanto questi hanno dimostrato di essere un grande successo sia per il franchisor che per il franchisee. Negli ultimi cinque anni, le statistiche sulle entrate hanno dimostrando che i multiproprietari tendono a massimizzare i loro profitti a un tasso superiore di quello dei singoli proprietari.

Leggendo il rapporto della Small Business Administration (SBA), si evince che i proprietari di più unità sono diventati “il gruppo più prosperoso delle piccole imprese.” La relazione prosegue affermando che circa i tre quarti di questi imprenditori si trovano in una fascia di reddito alta e metà di essi possono essere classificati in una fascia di ricchezza elevata.
Infatti, uno dei motivi di questo aumento della redditività è dovuto al fatto che le “multi-unità” sono in genere gestite dagli investitori più esperti soprattutto in fase di massimizzazione dei profitti.

Inoltre, ma è facile dedurlo, il franchisor preferisce supportare un franchisee già avviato che investire in una nuova operazione.

Quali sono i vantaggi della “multi-unità”?
I multiproprietari di Franchising concordano che, avere più di un franchising sotto la propria gestione può risultare un vantaggio finanziario. Un esempio? Il franchisee Gulam Choudhury, che ha comprato il suo primo franchising Dunkin’ Donuts due decenni fa, ora possiede un pacchetto di sei negozi, multi-unità.
Oltre a maggiori profitti, Choudhury ha affermato che grazie alla sua piccola catena ottiene maggiori risparmi anche dal fatto che ha bisogno di utilizzare solo una cucina per tutti i sei negozi.

Inoltre, i multiproprietari di franchising possono gestire al meglio il personale tra i diversi negozi e sono in grado di offrire maggiori opportunità per il loro avanzamento. Infatti, sempre più spesso, le aziende trovando molto più conveniente gestire e supportare un minor numero di affiliati in possesso di un numero maggiore di unità. Ecco perché una grande azienda preferisce gestire, per esempio, 75 proprietari di franchising che operano 300 unità, piuttosto che la gestione di 300 operatori in franchising separati.

A seguito di questo trend, un numero crescente di imprese offrono solo opportunità di franchising per potenziali franchisee disposti ad accordarsi per un pacchetto minimo di sviluppo.

Sempre negli USA, Dunkin’ Donuts è un caso emblematico, gli investitori devono essere in grado di acquistare un accordo di sviluppo per almeno cinque negozi. Questo, secondo Dunkin’ Donuts è il risultato di un piano strategico di espansione per triplicare i punti vendita per un totale di 15.000 negozi negli Stati Uniti entro il 2020.

Qual’è il rovescio della medaglia?
La realtà è che la maggior parte dei franchisee non sono in grado di investire in più di una unità alla volta e, in molti casi, preferiscono già a priori non espandersi. L’acquisto di un pacchetto minimo, contempla non solo una grande quantità di capitale, ma anche il tempo e le risorse per l’esecuzione più unità, quasi contemporaneamente, quindi si rende necessaria una grande capacità di selezione, una grande capacità organizzativa della rete e un forte coinvolgimento nella governance del sistema.

Nonostante quest’ultimo punto e nonostante l’esborso di denaro, tempo e risorse, l’investendo in “multi-unità” di franchising risulta essere un modo efficace per massimizzare il potenziale di profitto, soprattutto se si sta investendo in un ben consolidato marchio di successo.

Voi cosa ne pensate?

Associazione: associarsi e associato

Cito da Wikipedia: L’associazione è un ente costituito da un insieme di persone fisiche o giuridiche (gli associati) legate dal perseguimento di uno scopo comune.

Faccio parte di due Associazioni e condivido la semplice ma esaustiva definizione che Wikipedia mette ad introduzione di un’interessante pagina esplicativa. Link

Perché associarsi? Sembrerebbe una facile risposta: “Perché condivido lo scopo per cui l’associazione è nata e vive e quindi mi associo per apportare il mio contributo”. Facile a dirsi, meno a farsi, soprattutto in Italia e specialmente con gli italiani che davanti al fine comune, mettono prima gli interessi personali. Neanche fosse l’azienda di proprietà, anzi, ribadiamo il concetto: un’associazione non è da scambiarsi con la propria azienda e tanto meno associandosi, si ottengono lavori, favori o cose sul generis. L’associazione va vissuta e supportata.

Ed è qui che l’italiano, a mio avviso, da il peggio di se. Pochi miei colleghi, a differenza di quelli stranieri, vivono l’associazionismo come valore aggiunto alla propria attività. Infatti, come detto, molti “usano” l’associazione per scopi puramente personali, talvolta al limite della decenza, spesso al limite del ridicolo.

Cosa significa essere associato? Per me significa, partecipazione, condivisione e supporto per il raggiungimento dello scopo comune.

Spero, in questo tempo di necessari cambiamenti, che anche situazioni apparentemente più semplici come le associazioni di persone, si possano depurare dai soliti facili costumi di opportunismo e scarsa etica. Soprattutto laddove, persone più esperte almeno secondo la carta d’identità, si fregiano di cose non loro.

Mi auguro di poter facilitare questo cambiamento, con l’auspicio di trovare sempre più persone in linea con il mio pensiero e con necessità di comportamenti etici, responsabili e trasparenti.

L’associazione non è di nessuno in particolare, se non degli associati (tutti) che vi fanno parte!

 

I never thought of writing about Kellogg’s (temporary ‘tweet’ shop in London)

Oh my God! What a fantastic marketing idea and social media experiment. Don’t you think so? I trust this is a great prove of what very creative brains can do when clients are open minded and ready to try new formulas of market approach.

“The standalone store – thought to be the first to allow customers to pay by tweet instead of money – is being used to mark the company’s move into the savory crisps market and is open until Friday 28 September”. Its’ tomorrow, hurry up!! 


“The temporary store encourages customers to pay for a packet of cereal by tweeting a message about the snack range. As well as the company’s first move into crisps, the shop is also Kellogg’s first venture into the retail arena with its very first dedicated physical space in the UK.
The shop is staffed by a number of iconic Special K girls in red dresses, who will check each customer’s Tweet before handing over the crisps.
The Tweet Shop is lined with hundreds of packs of crisps, a ‘try before you buy’ snacking area and a ‘community notice board’ that captures social media reaction to the unique retail space”. (abstract from Gemma Balmford article. Thanks Gemma)

Bartering is growing as the economic situation is raising and this is both a new way of bartering and a new boundary of Retailing. A tweet for a sample product. Ingenious.             I would love to read the marketing report.

What do you think readers?

Il tuo gelato in un tweet

Ecco i vincitori proclamati dalla giuria presieduta dal grande poeta Davide Rondoni per il concorso che SIGEP ha indetto, chiedendo agli italiani un ‘cinguettìo’ dedicato al gelato artigianale. 

Walter Rossi, avvocato fiorentino (La gelataia di Montelupo/mesce/ crema antica e granella di pistacchio/sorride/ ti guarda/sussurra:/”questo è amore”), Francesco Astolfi, esperto di marketing riminese (Ti ho baciato mentre mangiavi un gelato. Ora so che l’amore ha il gusto di banana) e Agnese Del Prete, impiegata di Latina (Golosa emozione lievemente accarezza timidamente ognun) si sono rispettivamente classificati ai primi tre posti dell’iniziativa di SIGEP che ha chiesto ai propri followers un pensiero di 140 caratteri sul gelato artigianale a @SigepRimini.

Il salone di Rimini Fiera leader al mondo nel dolciario artigianale (la 34a edizione dal 19 al 23 gennaio 2013), ha messo in palio un week end a Rimini per assistere a SIGEP 2013 e 10 kg di gelato al primo, 5 al secondo e 3 al terzo tweet.

Una segnalazione per la loro simpatia anche ad altri tre tweet giunti al concorso di SIGEP:

Giugno. Girovagando Grondo. Girandomi Guardo Giù: Gelateria! Gustoso Gelato Gusto Gianduia. Gnam. Grandioso. (@RiccardoPerini)
Il mondo è pieno di indecisi. Lo capisci dalla lunga fila che il gelataio ha creato chiedendo: Che gusti vuoi? (@MenuettoIT)

Anch’io avevo partecipato con un tweet da leggere come un fosse jingle “gusto fresco e colorato, son innamorato del gelato; crema frutta o variegato, son innamorato del gelato“. Non male, vero?

Gelato. Done by the wind!

In Scotland, the ice cream that does not pollute is an example of how it can be exploited as a source of renewable energy such as wind. In Westertown farm in Aberdeenshire, the ice cream is produced by three wind turbines that can produce about 2.5 MW.

30% of renewable energy is used to power the farm and the rest is sold to Good Energy the leading company in the UK for renewable energy.

In addition to this, the company run by the family Makies produces 10 million liters of ice cream per year sustainable and aim to be one of the greenest business in Britain.

Although the choice of sources and the consequent reduction in CO2 emission, is his strong point, the choices environmental family Makies not seem to end here: many trees have been planted around the farm to encourage the repopulation of wild animals, also the biological waste in the production of ice cream are reused to fertilize the fields where it grows fodder that the cows they say they eat happy. 

What do you think of this “new attitude”? Is green business a real best practice? Well, I personally think, and ECOFFEE is the prove, that the world must change and even a small gesture like having a coffee or an ice cream, could help the cause.

In Italy we love gelato and we have Sigep, the most famous gelato Exhibition in the world. Should we think to improve this important approach and mentality starting from mass event to share the eco-conscious way of life and business?

What do you think my Sigep’s friends?

 

Barista, lei è proprio un cafone!

Il 29 agosto scorso mi sono recato all’aeroporto di Bologna, per partire alla volta di Catania e quindi raggiungere Messina. Un importante incontro di lavoro mi stava aspettando.

Visto che il mio volo era previsto subito dopo l’ora di pranzo, mi sono avvicinato al bar Bollicine, quello situato proprio frontalmente alla salita delle scale mobili, zona partenze ovviamente. Dopo aver aspettato il barista che doveva monitorare il passaggio delle turiste e dopo essere riuscito a fare lo scontrino per: panino, bibita e caffè, mi sono spostato al lato della cassa per poter consumare il mio “pasto” in tranquillità.

Ecco l’assurdo manifestarsi improvvisamente: dopo aver provato a masticare il panino, impresa ardua dato la sua consistenza – avete presente il pane scongelato e riproposto probabilmente dopo alcuni giorni? – mi sono rivolto al barista dicendo educatamente: “mi scusi, ma questo pane è immangiabile”. Di tutta risposta il barista mi ha lanciato un sguardo di insufficenza, come se il pane fosse cattivo per colpa mia, e dopo aver allargato le braccia come se fosse passato li per caso, se ne è andato dall’altra parte.

Per il nervoso, pur di non aver a che fare con quel cafone, non ho neanche chiesto il caffè. Naturalmente il panino è finito nel bidone.

Andando verso l’imbarco, mi sono detto: quest’episodio è da condividere ed ho incominciato a scrivere col cellulare su Twitter: “Il barista del Bollicine e’ veramente un cafone!!!” Stavo per inviare, quando la provvidenza mi ha portato davanti un cartello dell’aeroporto che invitava i passeggeri a comunicare attraverso Twitter, questo l’indirizzo: @BLQairport

Letto, aggiunto, fatto!

Al mio arrivo a Catania, mi sono piacevolmente trovato la risposta: “@norman_cescut Ci dispiace per l’accaduto, lo segnaliamo subito affinchè non si ripeta più”. Il tutto visibile nella mia Timeline di Twitter.

I famosi “complain form” presenti all’estero, non hanno mai funzionato in Italia, ma finalmente adesso c’è la possibilità di comunicare in diretta con chi d’interesse.

Ora, non ho la certezza che abbiano preso veri provvedimenti, anzi invito l’aeroporto di Bologna a comunicarmelo, ma certo è che comportamenti del genere non possono e non devono passare inosservati.

Aggiungo solo una cosa: saper fare un caffè o allungare un panino al di là del bancone, non significa essere baristi, professione nobile e altamente qualificata ma non è solo colpa del barista ma anche del gestore che non fornisce la formazione adatta o se lo fa, non monitora l’operato.

Fino a prova contraria, mai più al bar Bollicine!